Dickie Barnes sta costruendo un bunker. Non perché sia un esperto di edilizia, né perché il suo lavoro lo richieda: lo fa perché crede che il mondo stia per finire. Mentre si dedica ossessivamente a quest’impresa, la sua concessionaria d’auto precipita verso la bancarotta, la moglie Imelda cerca di rimanere a galla vendendo i propri gioielli online, e i figli Cass e PJ si trovano sospesi tra un’infanzia già svanita e un futuro che appare quanto mai incerto.
Paul Murray orchestra il racconto di questa implosione familiare con un’abilità straordinaria, intrecciando tragedia e umorismo in un equilibrio costante tra il grottesco e il commovente. La narrazione si sviluppa attraverso i punti di vista alternati dei membri della famiglia, ciascuno dei quali si trova a fronteggiare la propria crisi esistenziale mentre il mondo che conosce crolla sotto il peso delle illusioni perdute.
Dickie incarna la figura dell’uomo incapace di accettare la realtà: invece di affrontare il fallimento della sua attività e il disfacimento della sua famiglia, riversa tutte le sue energie in un progetto delirante, convinto che l’unico modo per salvarsi sia barricarsi in una struttura sotterranea. Imelda, dal canto suo, porta sulle spalle il peso della sopravvivenza, lottando per mantenere un’apparenza di normalità mentre dentro di sé si dibatte tra frustrazione e rassegnazione. Il suo flusso di pensiero, denso e inarrestabile, richiama alla mente il monologo di Molly Bloom in Ulisse, ma qui la voce femminile si fa ancora più urgente, più disperata, come se parlasse per tutte quelle donne che hanno visto i loro sogni sacrificati sull’altare di una stabilità ormai inesistente.
I figli, Cass e PJ, sono i due poli di una giovinezza segnata dall’insicurezza. Cass, brillante e autodistruttiva, sembra determinata a sabotare il proprio futuro, mentre PJ, più sensibile e ingenuo, osserva il declino degli adulti senza strumenti per comprenderlo davvero. Sono loro i testimoni del fallimento del mondo dei loro genitori, un mondo che prometteva sicurezza e benessere ma che, dopo la crisi economica, ha lasciato dietro di sé solo macerie.
Ciò che rende Il giorno dell’ape un romanzo straordinario è la capacità di Paul Murray di raccontare il dramma con una scrittura che alterna lirismo e sarcasmo, mantenendo sempre un tono imprevedibile. Il libro è costruito con un ritmo incalzante, arricchito da dialoghi brillanti e momenti di pura assurdità che, lungi dal banalizzare la tragedia, la rendono ancora più penetrante. L’autore coglie con precisione chirurgica le fragilità della classe media occidentale, mostrando come il disfacimento economico sia solo il riflesso di una crisi ben più profonda, fatta di solitudine, incomunicabilità e incapacità di accettare il cambiamento.
Non c’è consolazione in queste pagine, ma neanche disperazione pura: c’è, piuttosto, una lucida consapevolezza della condizione umana, raccontata con uno sguardo che sa essere impietoso e affettuoso allo stesso tempo. Paul Murray si inserisce nella tradizione della grande narrativa familiare contemporanea, ma lo fa con una voce inconfondibile, capace di restituire tutta la tragicommedia dell’esistenza in un solo, potente respiro.