Il tormento dell’eroe: il destino ineluttabile di un uomo

Redazione
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Oriana Fallaci, con Un uomo, compone un requiem narrativo che è al tempo stesso una celebrazione e una lacerazione, un inno alla grandezza e un grido di dolore. Pubblicato nel 1979, questo libro si colloca al confine tra romanzo e memoria, tra cronaca e poema epico, tra autobiografia e invettiva politica. È il racconto della vita e della morte di Alexandros Panagulis, il rivoluzionario greco che sfidò la dittatura dei colonnelli e pagò il prezzo più alto per la sua sete di libertà. Ma è anche – e forse soprattutto – il resoconto di un amore vissuto sul crinale dell’assoluto, tra la passione e il martirio, tra la speranza e la disperazione.

La scrittura di Fallaci è febbrile, martellante, animata da un’urgenza che si fa palpabile in ogni pagina. L’io narrante non si nasconde dietro una distanza oggettiva: la voce dell’autrice è una voce che accusa, che piange, che ama e che soffre, una voce che non cede mai al compromesso. Un uomo è, infatti, una dichiarazione di guerra contro il silenzio e l’indifferenza, un atto di ribellione contro l’oblio. Il dolore privato dell’autrice – il lutto per la morte dell’uomo amato – si trasforma in una denuncia universale, in un canto funebre per tutti coloro che osano sfidare il potere e per questo vengono schiacciati.

Panagulis emerge dalle pagine come una figura titanica e tragica, un moderno Prometeo che, pur consapevole dell’inevitabilità della sconfitta, sceglie di combattere fino all’ultimo respiro. Fallaci lo ritrae non come un eroe astratto, ma come un uomo di carne e sangue, fragile eppure indomito, ostinato fino all’autodistruzione. La sua prigionia, i tormenti subiti nelle segrete della dittatura, la libertà illusoria concessa sotto sorveglianza, la lotta solitaria contro un regime che si rigenera nell’ipocrisia della democrazia apparente: tutto questo si incide nella prosa dell’autrice con la forza di un destino ineluttabile.

Ma Un uomo è anche un libro sull’amore, un amore che si consuma nell’ombra della tragedia e che diventa esso stesso un campo di battaglia. Il rapporto tra Fallaci e Panagulis non è idealizzato né addolcito: è un amore feroce, fatto di incomprensioni, di scontri, di distanze incolmabili. Panagulis, così assoluto nella sua dedizione alla causa, è incapace di appartenere pienamente a qualcuno se non alla propria lotta. E Fallaci, con la lucidità di chi ama senza riserve ma senza illusioni, ne coglie la natura irriducibile, destinata a sfuggire a qualsiasi vincolo.

La morte di Panagulis, il 1º maggio 1976, ufficialmente dovuta a un incidente stradale, si staglia come un sigillo su una vita già segnata dalla condanna. La narrazione della sua fine assume i toni di una resa dei conti con la Storia, con la viltà di chi si piega, con la complicità di chi sceglie di non vedere. Fallaci non si limita a raccontare: accusa, interroga, sfida. La sua scrittura si fa incandescente, un atto d’accusa che non concede tregua, che non offre consolazione.

Leggere Un uomo significa immergersi in una prosa che non accetta compromessi, che brucia di un’intensità rara. Fallaci scrive con il sangue, con la rabbia, con la disperazione di chi ha visto l’ingiustizia trionfare e non vuole rassegnarsi. È un libro che non lascia indifferenti, che scuote e ferisce, perché costringe a confrontarsi con le domande più scomode: qual è il prezzo della libertà? Fino a che punto si può spingere un uomo nella sua ricerca di giustizia? Vale la pena di sacrificare tutto, anche la vita, per un ideale?

Forse Un uomo non è solo la storia di Alexandros Panagulis. È la storia di tutti coloro che hanno scelto di opporsi al potere, pur sapendo che il loro destino sarebbe stato la sconfitta. È la storia dell’eroe moderno, che lotta non per vincere, ma perché non può fare altrimenti. È la storia di un amore che non ha potuto salvare, ma che ha saputo raccontare. E in questo racconto, in questa memoria che si fa parola scritta, vive l’unica vittoria possibile.

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