L’Amore ai Tempi del Lockdown: “56 Giorni” e il Thriller Psicologico che Sfrutta la Nostra Paura Più Grande

Redazione
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C’è un che di geniale, e al tempo stesso di terribilmente inquietante, nell’idea di ambientare un thriller psicologico durante il lockdown. Catherine Ryan Howard, con il suo “56 giorni” (traduzione di Giuseppe Marano, in uscita il 4 marzo 2025), non si limita a sfruttare un contesto storico che tutti abbiamo vissuto (e che molti vorrebbero dimenticare), ma lo trasforma nel vero protagonista di una storia che, pur avendo ricevuto un’accoglienza mista, ha conquistato le vette delle classifiche e il plauso di testate prestigiose come il “New York Times“, il “Washington Post” e il “Guardian”.

La premessa è semplice, quasi banale: Ciara e Oliver si incontrano per caso, si piacciono, iniziano a frequentarsi. Ma l’arrivo del Covid-19 e la minaccia di un lockdown imminente li spingono a una decisione affrettata: andare a vivere insieme. Una mossa dettata dalla passione, dalla paura della solitudine, o forse da qualcosa di più oscuro?

È qui che la Howard tesse la sua tela di suspense. L’appartamento di Oliver diventa una gabbia dorata, un microcosmo in cui le dinamiche di coppia si intrecciano con i segreti, le bugie, le identità nascoste. La convivenza forzata, l’isolamento dal mondo esterno, la paranoia crescente: tutti elementi che contribuiscono a creare un’atmosfera claustrofobica e carica di tensione.

Il romanzo si sviluppa su tre piani temporali: il “56 giorni prima”, il “35 giorni prima” e l’ “oggi”, in cui un cadavere in decomposizione viene ritrovato nell’appartamento. Un cadavere che è il punto di partenza di un’indagine che si preannuncia complessa, un puzzle in cui ogni tessera sembra nascondere più di quanto riveli.

La Howard è abile nel dosare i colpi di scena, nel seminare indizi, nel giocare con le aspettative del lettore. La sua scrittura è fluida, incalzante, capace di tenere alta la tensione fino all’ultima pagina. E, come sottolineano le recensioni, il contesto del lockdown aggiunge un livello di inquietudine ulteriore, una sensazione di familiarità disturbante che rende la storia ancora più efficace.

“56 giorni” non è solo un thriller. È un’esplorazione delle dinamiche di coppia, delle maschere che indossiamo, dei segreti che custodiamo. È una riflessione sulla solitudine, sulla paura, sulla fragilità delle relazioni umane. È, in definitiva, un romanzo che ci costringe a confrontarci con le nostre paure più profonde, quelle che la pandemia ha amplificato e portato alla luce. La citazione di Karin Slaughter, parla chiaro: «Un romanzo pazzesco da un’autrice che sicuramente diventerà una voce importante nel panorama del giallo. Si rimane incollati alle pagine fino alla fine». E, la prestigiosa testata “The Washington Post” azzarda:”La narrativa suspense ha raggiunto il suo apice”.

Forse non è un capolavoro assoluto,  Ma è un libro che, nel suo genere, funziona. Un thriller psicologico che sfrutta al meglio un contesto storico unico, trasformandolo in un’arma narrativa potente e suggestiva. Un libro che, come un incubo ricorrente, ci ricorda che a volte la realtà può essere più spaventosa di qualsiasi finzione. E che, anche nel chiuso di un appartamento, il delitto perfetto potrebbe essere sempre in agguato.

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