Nel panorama della letteratura contemporanea, vi sono romanzi che si limitano a raccontare una storia e altri che si fanno portatori di un’esperienza, trasportando il lettore in una dimensione liminale tra realtà e sogno, tra il visibile e l’invisibile. Il ladro di nebbia di Lavinia Petti appartiene senza dubbio alla seconda categoria. Con una prosa evocativa e una costruzione narrativa che sfida le convenzioni del realismo, l’autrice ci consegna un’opera che affonda le sue radici nella tradizione del fantastico e si nutre di riflessioni profonde sul significato della memoria, dell’identità e della scrittura.
Antonio M. Fonte è uno scrittore dalla vita solitaria, il cui presente si nutre di un passato lacunoso, fatto di ombre e vuoti che egli stesso sembra aver accettato con rassegnazione. Vive a Napoli, città che nella sua complessità topografica e metafisica diviene una sorta di specchio del protagonista, un dedalo di vicoli e segreti che cela più di quanto riveli. La sua esistenza subisce uno scossone improvviso quando ritrova una lettera che non ricorda di aver scritto, indirizzata a una donna il cui nome gli è estraneo. Questo evento lo costringe a confrontarsi con un passato dimenticato, un passato che non è stato semplicemente rimosso, ma che sembra quasi essersi dissolto come la nebbia che dà titolo al romanzo.
Da questo punto in avanti, la narrazione si allontana progressivamente dai canoni del realismo per abbracciare un registro più onirico e simbolico. Antonio si ritrova in un mondo altro, sospeso tra memoria e oblio, un universo in cui i ricordi si perdono come oggetti smarriti e possono essere recuperati solo attraverso un processo di ricerca interiore. Questa dimensione, che riecheggia le atmosfere del realismo magico, si nutre di una poetica dell’indeterminatezza, dove ogni elemento appare sfuggente e indefinito, come se il tempo e lo spazio stessi fossero piegati da forze misteriose.
La scrittura di Lavinia Petti si distingue per la sua ricchezza lessicale e per una capacità immaginifica che riesce a trasformare ogni scena in un affresco vivido, carico di suggestioni simboliche. Il romanzo si muove tra evocazioni pittoriche e riflessioni metafisiche, costruendo un mondo narrativo in cui la concretezza della parola si dissolve in un’atmosfera impalpabile, proprio come la nebbia che permea la storia. Questa scelta stilistica, lungi dall’essere un mero esercizio estetico, si rivela funzionale al tema centrale del romanzo: la natura effimera e fallace della memoria.
Se, infatti, la trama può essere letta come un viaggio iniziatico alla ricerca del passato, è altrettanto vero che Il ladro di nebbia si configura come una meditazione sulla scrittura stessa, sulla sua capacità di dare forma a ciò che è evanescente e di rendere tangibile l’intangibile. Antonio M. Fonte non è soltanto uno scrittore in crisi, ma un uomo la cui identità sembra essere stata riscritta più volte, un individuo che si scopre privo di radici, come se la sua esistenza fosse il prodotto di una cancellazione volontaria. In questo senso, la sua avventura non è soltanto un percorso di riscoperta, ma anche un’indagine sul potere del linguaggio e della narrazione, sulla possibilità che il racconto – e non la realtà – sia l’unico strumento attraverso il quale possiamo realmente possedere il nostro passato.
Il romanzo gioca con l’ambiguità e la sovrapposizione tra i piani della realtà e dell’immaginazione, portando il lettore a interrogarsi su ciò che definisce l’identità umana. Esistiamo in quanto ricordiamo? Oppure siamo il risultato delle nostre dimenticanze? La nebbia del titolo diviene metafora di questo dilemma, un velo che cela e allo stesso tempo protegge, che sfuma i contorni delle cose e impedisce di distinguere nettamente il confine tra il vero e il fittizio.
Sebbene la costruzione narrativa segua un ritmo volutamente sospeso, in alcuni momenti quasi dilatato, la forza del romanzo risiede nella sua capacità di avvolgere il lettore in un’atmosfera densa di mistero, costringendolo a confrontarsi con la propria percezione del tempo e della memoria. La Napoli che emerge dalle pagine di Lavinia Petti è una città quasi metafisica, intrisa di segreti e di passaggi invisibili, una città che può esistere solo nella mente di chi la vive e la racconta.
Con Il ladro di nebbia, Lavinia Petti costruisce un’opera che si colloca a metà strada tra il romanzo di formazione e la favola filosofica, un testo che invita a perdersi per poter ritrovare se stessi, a lasciarsi avvolgere dalla nebbia per scoprire ciò che si nasconde al di là di essa. Un libro che non si limita a essere letto, ma che chiede di essere vissuto, nel suo ritmo evocativo e nella sua poetica dell’assenza.