Nel panorama della narrativa distopica, l’elemento apocalittico è spesso usato come specchio deformante delle paure e delle contraddizioni del presente. I figli della cenere di Francesca Bertuca si inserisce in questa tradizione con un’opera che mescola la durezza della sopravvivenza post-nucleare alla dimensione mitica della rinascita, costruendo un universo narrativo di grande suggestione, in cui la memoria del mondo antico si dissolve sotto il peso della cenere, lasciando spazio a una realtà dominata da nuove credenze e regimi totalitari.
Il romanzo si svolge in un futuro in cui l’umanità è stata sconvolta da una guerra devastante. L’Occidente e l’Oriente sono ormai due entità divise non solo geograficamente, ma ideologicamente e socialmente: da un lato, una civiltà che tenta di risorgere dalle macerie, protetta da un Muro che la separa dalla desolazione dell’Est; dall’altro, un mondo in cui la lotta per la sopravvivenza ha cancellato ogni traccia di ordine e stabilità. Al centro della narrazione, la figura di Alec, giovane fabbro cresciuto nell’ombra della rovina, e il suo viaggio verso una speranza che si fa sempre più fragile man mano che la realtà gli svela i suoi inganni.
Francesca Bertuca costruisce il suo romanzo con una prosa evocativa e tagliente, in cui il lirismo delle descrizioni si alterna alla brutalità degli eventi narrati. L’ambientazione è tratteggiata con grande attenzione ai dettagli: il lettore viene immerso in un paesaggio di rovine, dove la polvere e la cenere soffocano ogni traccia del passato, e il cielo stesso sembra essersi dimenticato del colore del sole. Questo mondo devastato non è solo uno sfondo, ma un elemento vivo e pulsante, che modella i destini dei personaggi e ne condiziona le scelte.
Il rapporto tra passato e futuro è uno dei temi centrali del romanzo. La memoria della civiltà pre-apocalittica si trasforma in leggenda, manipolata dal potere o fraintesa dalle generazioni nate dopo la catastrofe. Gli oggetti del passato – vecchi libri, frammenti di tecnologia, simboli di un’epoca scomparsa – diventano reliquie sacre o strumenti di dominio, a seconda di chi ne detiene il possesso. La riscrittura della storia è un’arma tanto potente quanto le fortezze e le mura che separano i popoli: chi controlla il passato, sembra suggerire Bertuca, ha il potere di plasmare il futuro.
I personaggi di I figli della cenere sono mossi da tensioni profonde e spesso contraddittorie. Alec non è un eroe nel senso tradizionale del termine: è un uomo che lotta per sopravvivere, ma che non ha ancora compreso appieno il ruolo che il destino gli ha riservato. Il suo viaggio è tanto fisico quanto interiore, un percorso di scoperta che lo porterà a interrogarsi sul significato della speranza e sulla possibilità di un futuro diverso. Al suo fianco, altre figure emergono con forza: donne e uomini segnati dalla crudeltà del mondo in cui vivono, alcuni spinti dal desiderio di redenzione, altri accecati dall’avidità o dalla paura.
Bertuca gioca abilmente con il concetto di predestinazione e libero arbitrio. Se il mondo di I figli della cenere sembra governato da leggi immutabili, da cicli di distruzione e rinascita che si ripetono senza fine, i protagonisti si trovano costantemente di fronte a scelte che mettono in discussione questa visione deterministica. È davvero tutto già scritto, o c’è spazio per un atto di ribellione che spezzi la catena degli eventi? La risposta, come in ogni grande romanzo distopico, non è mai netta, ma si insinua nei gesti e nelle decisioni dei personaggi, lasciando al lettore il compito di trarre le proprie conclusioni.
Dal punto di vista stilistico, il romanzo si distingue per una scrittura che sa essere poetica e brutale al tempo stesso. Bertuca non indulge in descrizioni eccessivamente compiaciute della devastazione, ma nemmeno la edulcora: la violenza del mondo post-apocalittico è raccontata con una freddezza che la rende ancora più disturbante, mentre i momenti di introspezione sono resi con un’intensità che conferisce spessore psicologico ai personaggi.
In definitiva, I figli della cenere è un romanzo che si distingue nel panorama della narrativa distopica contemporanea per la sua capacità di coniugare riflessione filosofica e tensione narrativa. Francesca Bertuca non si limita a raccontare una storia di sopravvivenza in un mondo devastato, ma costruisce un’opera che interroga il rapporto tra memoria e potere, tra destino e volontà individuale. È un libro che non si accontenta di descrivere l’apocalisse, ma che esplora le possibilità di rinascita, ponendo una domanda che risuona ben oltre le sue pagine: cosa rimane dell’umanità quando tutto ciò che la definiva è stato ridotto in cenere?