Ogni storia familiare è un territorio minato, un insieme di racconti tramandati e deformati dal tempo, una costruzione in bilico tra ciò che è accaduto e ciò che ci piace pensare sia successo. Niente di vero di Veronica Raimo è un romanzo che gioca con questa ambiguità, muovendosi tra autobiografia e finzione, tra confessione e parodia, in un continuo scambio tra la verità e la sua messa in scena. Vincitore del Premio Strega Giovani 2022, il libro si distingue per una scrittura che sfida le convenzioni del memoir tradizionale, ribaltandolo dall’interno con un’ironia spietata e un senso del comico che si intreccia con il dolore più autentico.
La protagonista è Veronica stessa, o meglio, una Veronica costruita attraverso il filtro della letteratura. Il racconto della sua crescita si sviluppa tra le mura di una famiglia soffocante e iperprotettiva, dominata da un padre ansioso, convinto che il mondo sia un pericolo costante, e da una madre altrettanto ingombrante, capace di una sorveglianza emotiva quasi ossessiva. L’infanzia e l’adolescenza di Veronica diventano così una battaglia continua per conquistare un’autonomia che sembra impossibile, per ritagliarsi uno spazio in un universo governato da regole illogiche, da preoccupazioni surreali e da un affetto che si esprime spesso nella forma del controllo.
Ma Niente di vero non è solo un romanzo sulla famiglia. È anche un libro sulla sessualità e sulla scoperta del desiderio, affrontata con un disincanto che non lascia spazio a idealizzazioni. Veronica racconta i suoi primi amori, le esperienze fallimentari, i tentativi di definire un’identità in un contesto che non le offre modelli adeguati. Il suo sguardo è sempre ironico, ma mai superficiale: c’è una lucidità feroce nella sua analisi delle relazioni, una capacità di smontare con poche parole le illusioni romantiche e le convenzioni sociali.
La scrittura di Raimo è asciutta, essenziale, costruita su frasi rapide e taglienti che non concedono tregua al lettore. Ogni capitolo è una scena autonoma, un frammento di vita che si fa racconto a sé stante, senza bisogno di rispettare una progressione narrativa tradizionale. È una struttura che riflette il senso di spaesamento della protagonista, la sua difficoltà nel trovare un filo conduttore che renda coerente la propria storia.
Ciò che rende Niente di vero un’opera così potente è la sua capacità di parlare dell’identità come qualcosa di instabile e mutevole. Veronica Raimo gioca con la memoria, con i ricordi che si confondono, con il confine sempre sfumato tra ciò che è stato e ciò che poteva essere. In questo senso, il titolo del libro diventa una dichiarazione di intenti: non c’è niente di vero nel senso assoluto, ma solo un racconto che prende forma nel momento stesso in cui viene scritto.
Alla fine, il lettore si ritrova immerso in una storia che è al tempo stesso personale e universale, un viaggio attraverso le contraddizioni dell’essere giovani, donne, figlie, amanti, scrittrici. Niente di vero non è un romanzo che cerca di offrire risposte o di ricomporre il caos dell’esistenza in una narrazione ordinata. È un libro che accetta il disordine, che lo trasforma in letteratura, e che nella sua apparente leggerezza riesce a lasciare un segno profondo e indelebile.