L’idiota di Dostoevskij e il dramma della bontà assoluta

Redazione
6 Min Read

Un uomo diverso dagli altri ritorna in Russia dopo un lungo periodo passato all’estero. Non è un principe nel senso comune del termine, ma lo è nella sua essenza: puro, disarmato, incapace di male. E per questo, inevitabilmente, destinato a soccombere. L’idiota, pubblicato nel 1869, è forse il romanzo più enigmatico di Fëdor Dostoevskij, l’opera che porta all’estremo la sua indagine sull’animo umano e che mette in scena, in tutta la sua tragica ineluttabilità, il confronto tra la santità e la brutalità del mondo.

Il principe Myškin, protagonista del romanzo, è un uomo diverso: affetto da epilessia, cresciuto lontano dalla Russia in un sanatorio svizzero, privo delle convenzioni sociali e delle astuzie necessarie per muoversi nell’alta società pietroburghese. Il suo ritorno a San Pietroburgo lo catapulta in una realtà che non gli appartiene, un mondo governato dall’ipocrisia, dall’interesse e dalla violenza sotterranea dei rapporti umani. Egli osserva la società con occhi limpidi, senza il filtro del cinismo, e per questo viene percepito come un idiota: la sua incapacità di agire con malizia, la sua onestà quasi infantile lo rendono un essere alieno, un testimone silenzioso della corruzione del mondo.

Dostoevskij costruisce il personaggio di Myškin come una figura cristologica, un uomo che incarna il bene assoluto in un contesto che non può accoglierlo senza distruggerlo. Ma la sua bontà non è ingenua, né superficiale: egli comprende il male, lo vede chiaramente, ma non è in grado di combatterlo con le sue stesse armi. La sua compassione diventa la sua condanna, la sua incapacità di rispondere all’aggressività con la stessa moneta lo trasforma in una vittima designata.

Attorno a lui si muovono figure potenti e contrastanti, personaggi che rappresentano i diversi volti dell’animo umano. Nastas’ja Filippovna è il cuore pulsante del romanzo, una donna bellissima e tormentata, vittima di un passato che l’ha segnata irreparabilmente. È la personificazione dell’autodistruzione, dell’orgoglio che si mescola alla disperazione, dell’incapacità di credere nella possibilità della redenzione. Myškin la ama con una devozione assoluta, senza secondi fini, senza desiderio di possesso, e proprio questo amore incondizionato la spaventa più di qualsiasi violenza.

Dall’altra parte vi è Rogozin, l’opposto di Myškin: istintivo, passionale, consumato da un desiderio che si tramuta in ossessione. Se il principe incarna la purezza, Rogozin rappresenta la natura incontrollabile della passione umana, l’amore che diventa follia, il desiderio che si trasforma in distruzione. Tra questi due poli si muove Aglaja Epanchina, giovane e orgogliosa, attratta e al tempo stesso respinta dall’eccezionalità di Myškin, incapace di comprendere fino in fondo la sua natura.

Dostoevskij utilizza L’idiota per esplorare uno dei temi più profondi della sua poetica: è possibile che un uomo totalmente buono esista nel mondo senza essere travolto dal male che lo circonda? La risposta che il romanzo fornisce è impietosa. La bontà di Myškin non è una forza che salva, ma una fragilità che lo espone alla sofferenza. Egli non è un eroe, non è un redentore: è un’anomalia, un uomo che il mondo non può accettare perché è costruito su equilibri di potere, interesse e compromesso.

La prosa di Dostoevskij è febbrile, incalzante, costruita su dialoghi che sembrano esplodere sotto il peso delle tensioni psicologiche dei personaggi. Il romanzo è un continuo confronto tra visioni opposte della vita, un’arena in cui le idee si scontrano con la forza di un dramma teatrale. Le pagine scorrono tra confessioni, sfide verbali, monologhi in cui i personaggi mettono a nudo la loro anima, incapaci di trattenere le proprie emozioni.

Ma al centro di tutto resta Myškin, figura tragica per eccellenza, l’uomo che vorrebbe portare pace ma che finisce per generare solo caos, che tenta di salvare Nastas’ja e che invece la spinge verso il suo destino più cupo. La scena finale del romanzo, con il principe ridotto a un’ombra di sé stesso, chiuso in un silenzio che annulla ogni sua parola precedente, è una delle più potenti della letteratura di tutti i tempi: l’ultimo atto di un dramma in cui il bene non ha potuto trionfare, in cui la purezza si è dissolta nell’assurdità della vita.

L’idiota è un’opera che lascia un segno indelebile, che costringe il lettore a confrontarsi con domande senza risposta. È un romanzo sulla solitudine di chi sceglie di non essere come gli altri, sull’incompatibilità tra l’ideale e la realtà, sull’impossibilità di conciliare la santità con il mondo degli uomini. Dostoevskij, con questo libro, non ci offre consolazione, ma un abisso in cui specchiarci. E da quell’abisso, lo sguardo limpido del principe Myškin continua a interrogarci.

Share This Article
1 Comment