All’alba del XX secolo, l’America rappresentava per milioni di italiani l’illusione di una vita nuova, il sogno di un mondo dove la miseria e la fame potevano essere lasciate alle spalle. Ma il Nuovo Mondo, così evocato nelle lettere e nei racconti di chi era partito, si rivelava spesso un labirinto di sofferenza e umiliazione, dove i più deboli finivano schiacciati dal peso delle promesse non mantenute. È dentro questo spazio di speranze infrante e resistenza ostinata che Melania G. Mazzucco ambienta Vita, romanzo che si nutre della Storia e della memoria per restituire un affresco letterario di rara intensità.
Nel 1903, due bambini sbarcano a Ellis Island con il loro carico di sogni e paure. Vita ha nove anni, Diamante dodici. Vengono da Tufo di Minturno, un piccolo paese del Lazio, e sono stati mandati in America con l’idea di ricongiungersi con i parenti e trovare fortuna. Invece, si ritrovano nel cuore del Lower East Side di New York, un quartiere di immigrati dove la miseria si confonde con la speranza, dove l’infanzia si dissolve sotto il peso del lavoro e della sopravvivenza. I due protagonisti vivono in una realtà spietata, fatta di prepotenze, inganni, fatiche indicibili, eppure non cessano mai di aggrapparsi alla loro amicizia e alla possibilità di un futuro diverso.
Mazzucco scrive con una lingua densa, viscerale, che restituisce il caos di quegli anni con una forza quasi cinematografica. Le descrizioni della città pullulano di dettagli: i vicoli stretti e sudici, gli odori acri dei mercati, il vociare in mille lingue, le baracche sovraffollate dove la povertà si incide sulla pelle. Attraverso uno stile che alterna lirismo e crudezza documentaristica, l’autrice costruisce un romanzo che è al tempo stesso un’epopea storica e una riflessione sull’identità e sulla memoria.
Uno degli elementi più straordinari di Vita è la capacità della Mazzucco di intrecciare la finzione con la realtà biografica. Il personaggio di Diamante si ispira a una figura realmente esistita nella storia familiare dell’autrice, e l’intero romanzo nasce da una lunga ricerca negli archivi dell’emigrazione italiana. Ma ciò che lo rende un’opera universale è la profondità con cui scava nell’animo dei suoi protagonisti. Vita è una bambina che, nonostante tutto, conserva dentro di sé una forza irriducibile: è la voce di una generazione di donne che, tra stenti e sacrifici, hanno saputo affermarsi in un mondo ostile. Diamante, invece, è il simbolo di chi si spezza sotto il peso delle proprie illusioni, di chi non riesce a trovare un posto in una terra che prometteva di accogliere e invece respinge.
Il romanzo segue il destino di Vita e Diamante attraverso gli anni, dipanando il loro legame con una struttura che si frammenta e si ricompone, esattamente come la loro esistenza. La narrazione si arricchisce di documenti, lettere, frammenti storici, come se la stessa scrittura fosse un tentativo di restituire un passato che rischia di essere dimenticato.
Mazzucco non si limita a raccontare una storia di emigrazione: Vita è anche una grande riflessione sulla perdita e sull’identità, sulla distanza incolmabile tra chi parte e chi resta. Il sogno americano, visto dagli occhi di questi due bambini, si sgretola contro il muro della realtà, eppure il romanzo non cede mai completamente al pessimismo. In fondo a questo lungo viaggio, tra dolore e nostalgia, resta la certezza che ogni storia meriti di essere raccontata, che il passato non sia solo un’ombra, ma una voce che continua a parlare.
Vita è un romanzo che lascia il segno, che illumina pagine di storia troppo spesso dimenticate e che riesce a restituire la dimensione umana dietro i numeri delle grandi migrazioni. Un’opera potente, commovente e necessaria, che conferma la Mazzucco come una delle voci più importanti della letteratura italiana contemporanea.